Come aquiloni... o quasi

perchè tutti i figli sono come aquiloni... o quasi

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Recensioni

 Dalla prefazione del volume

“Non prendere mai la vita troppo seriamente perché, comunque sia, non ne uscirai vivo.”

Jim Morrison

 Questo aforisma così come questo libro intenso, sofferto, tormentato, complicato, pensato - ma necessario e fortemente voluto dall’autore -, è per chi ama la vita e per le persone che la vivono seriamente senza mai rinunciare ad un pizzico di ironia. Perché il mio amico Sandro è così: sensibile ma concreto, dubbioso ma significativo, disincantato ma ottimista. Ottimista sì, perché l’essenza dell’ottimismo non è soltanto guardare al di là della situazione presente, ma è la capacità di stoppare con un fermo immagine momenti di vita vissuta traendone forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari perché il futuro lo rivendica a sé ed ai suoi tre meravigliosi e sorprendenti figli: Dario, Simone e MariaLetizia.

 Milena Portolani

Mamma di Francesca

Autrice del libro “E’ Francesc@ e basta”

Consigliere dell’Ass. Pianeta Down

 

 

 

 Recensione del Premio Valentina

Premio speciale della Giuria con Menzione d'onore

 

Un libro che raccoglie cinque anni di frammenti di vita e di pensieri, di sogni, speranze, ricordi, rimpianti di un padre accanto ai propri figli. Figli che Alessandro Mosconi paragona , attraverso una magica intuizione, ad aquiloni. Ma qui non si tratta di raccontare il vento che soffia sulla vita di ragazzi che prima o poi prenderanno il volo. In questo libro si racconta la storia di due figli diversamente abili, l’ avventura di due aquiloni che non scorgono l’ orizzonte. Restano legati alla mano del padre. Una mano che si sente stretta da e a quel filo. L’ autore parla di un rapporto paradossalmente privilegiato, in cui nel bene e nel male, si assiste ad un incredibile aumento dell’ intensità della propria vita; una vita dove la gioia è più gioia, il dolore è più dolore. Un messaggio forte, dal quale credo, ogni uomo possa trarre un profondo insegnamento, lontano dal gusto corrente di proiettarsi sempre nel domani: il senso della vita ci è dato dal vivere intensamente l’ oggi, con tutto l’ amore che ogni attimo ci elargisce. Concludo con le parole dell’ autore: "A tutti gli aquiloni che prima o poi nella vita hanno provato la paura e la gioia di spiccare il volo, il dolore e la vergogna del fallimento schiantandosi a terra... e il desiderio di riprovarci". Perché tutti i figli sono come aquiloni... o quasi!

 

per la Giuria

Maria Collina, scrittrice

 

 

Come aquiloni... o quasi  - Il libro di Alessandro Mosconi

 

A volte ci si imbatte in persone, che vivono una vita, che non è ‘normale’, cioè come nostro desiderio, ma è sempre vita; a volte ci si imbatte in persone che possono farti capire che qualunque stato della vita è vita; a volte ci si imbatte in genitori come Alessandro Mosconi, che può affermare “La forza del genitore sarà anche in quel caso quella di correre insieme a loro... magari più piano, meno spesso, e alla fine, quando correre non avrà più senso né scopo, sedersi ed abbracciarli, con la tenerezza di chi sa di aver fatto solo ciò che un genitore ‘deve’ fare... amare il proprio aquilone”; a volte ci si imbatte in figli come Dario Mosconi, che è felice per la vita che ha.  Da questi molteplici fattori abbiamo scoperto un libro, ‘Come aquiloni… o quasi’ (www.comeaquiloni.com), che ha vinto molti premi (2° premio assoluto e medaglia d'argento al ‘X Concorso Nazionale Diaristico F.M.Tripolone’, nel 2011; Premio della Giuria con diploma e menzione d'onore al 1° edizione del ‘Premio letterario Valentina’, nel 2011; finalista e secondo classificato ex-aequo al 2° concorso letterario ‘Dare alla luce, accogliere al mondo’; 2° classificato al Concorso letterario ‘Nati per vincere?’, nel 2010; vincitore del Contest ‘Write! Award’ Eni  nel 2010. L’autore è nato a Monza nel 1958. Di professione geologo, ha iniziato a scrivere per raccontarsi e raccontare la sua esperienza di padre di tre figli, di cui due nati con diversi tipi di disabilità congenita di origine casuale.

Il libro rappresenta una sorta di grido di speranza e di dolore insieme, che prendendo origine dal racconto per episodi della quotidianità, affronta con serietà ed ironia il tema della diversità e riflette sui sentimenti contrastanti che essa genera in chi la vive di riflesso ogni giorno, o la sfiora casualmente anche solo per un attimo. La scrittrice Maria Collina, nell’assegnazione del Premio speciale della Giuria con menzione d’onore del premio ‘Valentina’ di Ascoli Piceno, in memoria di Valentina De Benedictis, ha affermato: “In questo libro si racconta la storia di due figli diversamente abili, l’avventura di due aquiloni che non scorgono l’orizzonte. Restano legati alla mano del padre. Una mano che si sente stretta da e a quel filo. L’autore parla di un rapporto paradossalmente privilegiato, in cui nel bene e nel male, si assiste ad un incredibile aumento dell’intensità della propria vita; una vita dove la gioia è più gioia, il dolore è più dolore. Un messaggio forte, dal quale credo, ogni uomo possa trarre un profondo insegnamento, lontano dal gusto corrente di proiettarsi sempre nel domani: il senso della vita ci è dato dal vivere intensamente l’oggi, con tutto l’amore che ogni attimo ci elargisce”.

Da questa nostra ‘curiosità’ appassionata abbiamo cercato l’autore e gli abbiamo posto alcune domande, alle quali cordialmente e tempestivamente ci ha risposto.

Come aquiloni... o quasi: come è nato il libro?

“Il libro è nato da una sorta di “urgenza” di mettere in ordine sentimenti, vissuti, piccoli episodi quotidiani e significativi che, hanno caratterizzato la mia esperienza di padre di tre figli, due dei quali con diverse disabilità intellettivo-relazionali. Perché un libro, specie se di questo genere, si scrive prima di tutto per sé… e solo poi anche per gli altri. Per raccontare loro che oltre il dolore, la fatica, le difficoltà che sicuramente accompagnano la vita di un figlio disabile e della sua famiglia, c’è di più… molto di più. C’è innanzitutto la coscienza che vivere da disabile o ‘con’ un disabile ‘si può’… e c’è la consapevolezza di un’umanità preziosa che spesso non viene valorizzata solo per paura, non conoscenza, imbarazzo. Raccontandomi come genitore ho cercato di gettare un piccolo ponte tra due mondi che spesso comunicano troppo poco e male… affinchè la conoscenza reciproca li avvicinasse un po’ di più. Con crudele onestà, ma anche con serenità ed un po’ di sana e doverosa autoironia, indispensabile e abituale compagnia di tante famiglie che si trovano a vivere in questo ‘mondo’ un po’ particolare.

Concretamente il libro è stato realizzato mettendo insieme in una sorta di patchwork un po’ caotico e solo apparentemente privo di un filo logico, frammenti di vita e riflessioni scritti negli ultimi 6-7 anni in un forum su internet dedicato alla disabilità intellettiva, con particolare riferimento alla Sindrome di Down, quella che ha mio figlio Dario, il maggiore, di 24 anni (www.pianetadown.org). Il titolo del libro prende spunto da un famoso brano di Erma Bombeck che paragona i figli a degli aquiloni, ed i genitori a chi regge il rocchetto del filo con la coscienza che giorno dopo giorno, con gioia e dolore insieme, deve lasciare andare sempre più filo… per realizzare pienamente il proprio compito, fino a quando l’aquilone potrà volare solo, come è giusto che sia. Il ‘quasi’ ovviamente esprime il fatto che a volte, dolorosamente, questo volo ‘libero’ non è pienamente realizzabile… anche se parzialmente ‘possibile’”.

Cosa vuol dire raccontare la quotidianità della famiglia con due figli disabili?

“Per me ha significato essenzialmente riconoscere l’importanza di un cammino interiore, un grido di dolore e di speranza insieme, che mi ha portato ad essere quella persona e quel genitore che sono qui ed oggi; un cammino che è costellato di sentimenti contrastanti, non sempre edificanti nella loro natura, ma ugualmente importanti. E siccome sono convinto che pur essendo assimilabile ad un grande romanzo la vita è in realtà fatta di singoli episodi che ci svelano qualcosa… in una sorta di collezione di piccole ‘epifanìe’ successive… questo è lo stile che ho scelto per descrivere la mia coscienza di genitore e raccontarla a chi mi leggerà.

Con lo scopo ultimo che già dicevo prima… di mostrare a tutti l’incredibile o quantomeno insospettata ricchezza di ogni persona, che si nasconde ‘anche’ ad esempio nell’umanità violata di un disabile grave (quale Simone, il nostro secondo figlio oggi ventenne, nato con una malformazione cromosomica molto rara ed anch’essa casuale, la Sindrome di Wolf-Hirshorn). Credo di aver imparato dai miei figli, tutti e tre, compresa Marialetizia la nostra ultima figlia undicenne, capace di sciogliermi solo con uno sguardo… che la vita è un valore assoluto. Ognuno di loro me lo ha mostrato chiaramente, nei modi e con i mezzi che gli sono più congeniali e possibili, e questo è ciò che presuntuosamente vorrei ‘trasmettere’ con il mio libro”.

Nell'abecedario del libro alla lettera C ci sono due parole come Castrati e Coscienti. Come affrontare il tema sessuale con i figli disabili?

“Con onestà e naturalezza, guardando alle loro esigenze sessuali, siano esse istintive e/o affettive, come al naturale desiderio di pienezza di umanità che c’è in ognuno di noi, e che in ognuno di noi trova forme e modi differenti per esprimersi. Fino a poco tempo fa si pensava ad esempio che le persone Down non fossero capaci di sentimenti… niente di più falso. E la dimensione affettiva della sessualità è una realtà oggi sempre più presente e riconosciuta nella loro realtà. Ma va accompagnata con maggiore attenzione, professionalità e delicatezza, senza atteggiamenti ‘rivendicatori’ che affermando un’uguaglianza che di fatto non esiste… diano per scontato il diritto ad una sessualità ‘normale’. Questo vale sia per ciò che riguarda la sessualità che si esprime attraverso la corporeità, che quella ‘progettuale’ (il desiderio di sposarsi, formare una famiglia, fare figli…).

Ovviamente tutto questo nel caso della disabilità intellettivo-relazionale, deve necessariamente confrontarsi con il concetto di ‘responsabilità’, di ‘coscienza’ dei propri pregi e limiti, della capacità o meno di ‘prendersi cura di’… e così via. Ma è un cammino possibile e doveroso, in cui ogni persona con l’aiuto della famiglia, di una società priva di pregiudizi e di persone professionalmente capaci e preparate ad accompagnarli in questo cammino delicato ma bellissimo, può trovare un suo personale equilibrio ed un suo modo di realizzare la propria sessualità possibile. Senza preclusioni e pregiudizi, ma anche senza forzature”.

All'inizio del libro c'è una frase di Jim Morrison. In quale modo bisogna affrontare la vita?

“La frase in questione è questa: ‘Non prendere la vita troppo seriamente perché, comunque sia, non ne uscirai vivo!’ ed è stata riportata nella prefazione dalla carissima amica che l’ha scritta dopo aver letto il mio libro, dicendo che essa rispecchia il mio modo di scrivere… e di conseguenza… di vivere: un grande complimento. Credo che l’ironia, specie l’autoironia… il saper ridere di se stessi, delle proprie debolezze e limiti, anche tristemente a volte, oltre che essere necessario per dare la giusta dimensione alle cose… sia anche salutare, ed aiuti ad affrontare la vita con il giusto spirito.

E’ così per tutti… figuriamoci per chi ogni giorno deve confrontarsi dolorosamente con l’evidente e crudele coscienza dell’imperfezione del mondo, attraverso lo sguardo dei propri figli che si specchia, inevitabilmente, nel suo. Certo deve essere un’ironia non fine a se stessa, e quindi non “totalizzante”, come nemmeno lo devono essere il dolore, la rabbia, la nostalgia, oppure l’ottimismo irragionevole o il sorriso che si alternano o si sovrappongono nella vita di ogni genitore ‘disabile’. E questo ho cercato di trasmettere nelle quasi 500 pagine del mio libro”.

 

Fonte: korazym.org – Simone Baroncia

 

Le nostre vite come viaggi in camper: Non c’è mai un punto d’arrivo

La rabbia, e la bellezza, di avere un figlio disabile.

di Sara De Carli  

«I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra». Alessandro Mosconi per raccontare la sua vita di «papà disabile» parte citando una comica, Erma Bombeck. Lui però sa che ci sono anche figli che non voleranno mai via e che il filo, quando si spezzerà, sarà perché il vento è stato più forte dell’aquilone. Alessandro, 53 anni, geologo di Monza, ha tre figli: Dario di 24 anni, Simone di 20 e Maria Letizia di 11. Dario e Simone sono disabili, per una roulette genetica assolutamente casuale ma imprevedibilmente ostinata. Dario ha la sindrome di Down, una fidanzata, e lavora come aiuto cuoco nel più lussuoso hotel della città. Simone invece ha la sindrome di Wolf-Hirshorn: a vent’anni pesa 40 chili, non parla, non cammina, soffre di epilessia, sventola la bavaglia per dire che ha fame, «ma quando mi afferra con lo sguardo e fa quei suoi gridolini di gioia ne vedo tutta la bellezza e sono sicuro che anche la sua è una vita degna».

Con il loro camper un po’ sgangherato sono saliti in cima all’Etna e all’Acropoli di Atene: «La nostra vita è come un viaggio in camper, programmata quanto basta ma sempre aperta ai cambiamenti, voluti o forzati», ha scritto Mosconi nel suo libro, Come aquiloni... o quasi (edito da Tracce). La rabbia «c’è, ma ha senso? Con chi dovrei prendermela, con il caso? E poi non aiuta ad avvicinarti al mondo dei normali, cosa di cui invece c’è un disperato bisogno». Come di informazioni: «Le leggi ci sono, se chiedi ottieni, ma il problema è che nessuno ti dice quali sono i tuoi diritti», spiega Mosconi.

Consci che dalla A di aquilone alla Z di zigulì, come sintetizza, «essere genitori è un viaggio, non una meta».

Fonte: VITA – Sara De Carli

 

 Alessandro Mosconi - Come aquiloni… o quasi

di Enza Conti

Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente l’autore, Alessandro Mosconi, e la sua famiglia, e questo sicuramente mi ha fatto accostare alla lettura del suo libro in modo diverso, confesso con un po’ di timore perché ho capito che in quelle pagine c’era la storia vera di una famiglia speciale, che ogni giorno lotta per raggiungere nuovi traguardi. Già il titolo racchiude una forte simbologia, cioè la voglia soprattutto di libertà, quella che l’autore vorrebbe per i propri figli e soprattutto per Dario e Simone, entrambi diversamente abili. E nel prologo si legge: “I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra. Corri e corri con loro fino a restare tutti e due senza fiato”.

Si tratta di una breve frase che racchiude l’intero contenuto del lungo racconto di vita, perché le esperienze della famiglia Mosconi fanno riflettere su come la vita, quando meno te lo aspetti, ti mette alla prova senza lasciarti la possibilità di scelta, soprattutto quando sono i figli ad essere travolti dalle avversità della vita. Spesso, leggendo le pagine, un nodo sale alla gola in quanto nella storia quotidiana della famiglia Mosconi c’è la realtà fatta di tanti enigmi, di lotte, di sogni spezzati, ma c’è soprattutto il desiderio di continuare e prendere atto che la vita è un bene prezioso. Quindi l’Autore, descrivendo le sue esperienze, capovolge il suo ruolo, anziché chiedere coraggio dà coraggio e desta coloro che non apprezzano ciò che hanno ricevuto in dono, perché i figli sono dei doni, anche quando il cuore è distrutto mentre si è in attesa ore e ore dietro una porta d’ospedale nella speranza di una lieta notizia.

In Come aquiloni… o quasi (ed. Tracce, dicembre 2010, pp. 491, euro 25,00) c’è un grido d’amore, quello di due genitori che con grande coraggio hanno cambiato i propri obiettivi, la propria giornata e programmato un nuovo futuro, completamente diverso, ma comunque rafforzato da un grande obiettivo: vivere ogni giorno donando, donando amore. Una storia autobiografica che fa molto riflettere perché pone il lettore di fronte a messaggi forti e veri, così come è vero il dolore raccontato dall’Autore quando apprende che il primo figlio è affetto dalla sindrome di Down, un ragazzo che parla con gli occhi ed ha tanto da insegnare agli altri. Oggi Dario è un ragazzo che lavora, fa sport ha una sua vita affettiva e giorno dopo giorno fa sempre nuove conquiste.

Ma per la famiglia Mosconi altra grande prova giunge con l’arrivo del secondo figlio, nato con la rarissima sindrome di Wolf-Hirschorn, una nuova creatura da guidare, anche se in questo caso la grande preoccupazione è la non autosufficienza di Simone. L’Autore mentre ripercorre la vita del proprio figlio dà la possibilità al lettore di conoscere un’altra dimensione della vita, quella fatta di sacrifici, di momenti di scoraggiamento e dubbi soprattutto quando si pone la domanda: cosa ne sarà della sua famiglia quando sia lui che la moglie non potranno più seguire quella famiglia speciale? Ma l’Autore ci insegna che non bisogna mai farsi sopraffare dalla stanchezza emotiva, così rimuovendo la parte più triste dei pensieri continua a progettare nuove esperienze per i sui ragazzi. È un grande regalo per i due genitori l’arrivo a “sorpresa” di Marialetizia, ragazza superdotata e felice di essere un membro di una famiglia speciale.

Nel racconto-diario tante le esperienze descritte, sia negative che positive, come le gite in camper alla scoperta di nuove dimensioni ed emozioni. Tante le pagine riversate alle riflessioni, riflessioni che resteranno dentro l’animo del lettore come la frase: “Credo che ognuno ha il diritto di gridare all’ingiustizia subita in rapporto ai problemi dei nostri ragazzi, perché questo grido è in fondo un grido d’amore per la vita e per i propri figli”. Ci sarebbero tantissime frasi da riportare, in quanto ogni pagina è una vera e propria fonte di contenuti, lettere, esperienze, amarezze, domande sulla fede, sulle scelte di vita, i traguardi sportivi e lavorativi di Dario, la certezza di poter contare su Marialetizia e tanta carica emotiva, sono tutti elementi che mettono in evidenza il vero valore della famiglia, tant’è che tutti i componenti sono coautori. La storia vera e vissuta dai Mosconi ha tanto da insegnare al lettore “comune”.

Un libro da leggere e da interiorizzare, perché è in grado di far rivedere la vita, gli assurdi pregiudizi e invita a degli “esami di coscienza”, perché ogni persona ha delle qualità e dei sentimenti. A spiegare ciò sono queste poche righe estrapolate dal libro: “Se incontrerete per strada un personaggio un po’ strano, un OCM come quelli descritti in queste pagine, non sarete subito sopraffatti dal desiderio di voltare lo sguardo, non per disprezzo, ma per semplice incapacità di sapere e capire cosa fare, cosa dire… se sorridere senza imbarazzo a lui o lei e scambierete due chiacchiere senza pregiudizi né buonismo e compatimento, allora il libro avrà avuto per voi un significato…”. Ed è per questo che vi invito a leggere Come aquiloni… o quasi, perché ha tanto da insegnarci. Il libro è stato pubblicato in collaborazione con l’Associazione pianeta Down, l’Associazione Capirsidown e con l’Associazione italiana Sindrome di Wolf-Hirshorn. I proventi derivanti dai diritti d’autore andranno alle tre associazioni per la promozione di iniziative divulgative e sociali. www.pianetadown.org; www.capirsidown.it ; www.aisiwh.it .

 

da: Il Convivio Anno XIII n. 1 Gennaio - Marzo 2012 n. 48 12

 

 

 

L'intervista su "scrittorevincente"

 

1) Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.

Mi chiamo Alessandro Mosconi, ho 53 anni, di professione geologo, sposato da 29 e con tre figli di 25,21 1 12 anni, due dei quali con diverse disabilità intellettive relazionali di origine genetica casuale (non ereditaria)

Amo molto la musica, la montagna, la letteratura… sia letta che… scritta! ;-). Con particolare riferimento a quest’ultima… sono convinto che leggere e scrivere siano un’attività praticamente “unica”, perché in fondo, come in tutte le forme d’arte i messaggi che un libro suscita sono un inestricabile intreccio tra ciò che chi ha scritto voleva raccontare nel momento in cui ha scritto… e ciò che queste cose suscitano in chi le legge, nel momento in cui legge. In altre parole… ogni libro ha una vita propria… anzi, innumerevoli vite, dinamicamente sempre uguali e al tempo stesso diverse a se stesse… una per ogni coppia autore-lettore.

Con questa coscienza forse, e grazie al desiderio di raccontare e raccontarmi che nasceva essenzialmente dall’esperienza totalizzante della paternità, ho deciso un giorno che forse valeva la pena di provare a mettere su carta e trasmettere ad altri ciò che la vita nel bene e nel male mi ha “raccontato” fino a qui.

2) Qual è stato il percorso che ti ha permesso di pubblicare il tuo libro?

Il mio libro, “Come aquiloni… o quasi”, edito da Tracce ed uscito a gennaio 2011, è stata la naturale “conclusione” di un percorso di condivisione di esperienze e sentimenti nato su internet, in un forum di genitori che vivevano esperienze simili alla mia. In esso infatti sono raccolti quasi 5 anni di scritti, tra l’ironico e il serio, tra la riflessione ed il faceto. Ad un certo punto mi sono reso conto che la mia “produzione” aveva raggiunto, oltre che una mole considerevole… anche una sua logicità e consequenzialità, una specie di “cammino” virtuale che chiedeva solo di essere compreso prima, ed organizzato poi in modo sistematico.

Una volta effettuata questa operazione, ho proposto il manoscritto ad una serie di editori. Tra i contratti che mi sono stati proposti, solo uno si discostava dai classici canoni dell’ EAP, con delle clausole molto vantaggiose sia per quanto riguardava le % riconosciute sui diritti d’autore, che soprattutto per la “libertà” che mi veniva lasciata di disporre della mia opera anche in forme diverse, non strettamente legate all’editore stesso. L’”urgenza” interiore che in qualche modo chiunque abbia scritto qualcosa conosce bene, ha fatto sì che non ci pensassi più di tanto ed accettassi l’offerta di Tracce senza attendere ulteriori possibili proposte. Indubbiamente un’ingenuità da “novellino” nel mondo editoriale, ma che comunque è una scelta che ancora oggi mi sembra sia stata giusta ed opportuna.

3) Come sei riuscito a vendere così tante copie? Mi spieghi la strategia che hai adottato?

La strategia, se così si può in realtà definire la serie di iniziative intraprese a livello personale più “intuitivamente” e per approssimazioni successive che non seguendo precisi piani studiati a tavolino, è stata molto semplice. Promozione “anticipata” rispetto all’uscita del libro, attraverso strumenti tradizionali e con messaggi “mirati” ad ambienti potenzialmente interessati all’argomento e, ovviamente, ad amici e conoscenti. Costruzione di un sito internet dedicato, sul quale sono stati inizialmente riportati l’introduzione del volume, i brani contenuti all’inizio di ognuno dei 24 capitoli e un book-trailer video che lanciasse il messaggio principale contenuto nel libro, cercando di incuriosire il potenziale lettore. Una volta uscito il libro il sito si è mano a mano arricchito con un modulo di “prenotazione-acquisto”, e di link ai principali siti online in cui il volume poteva essere reperito, di una sezione di commenti dei lettori e così via…

Parallelamente ho proposto il libro personalmente ad alcune librerie della mia città (con alterna fortuna), e promosso l’opera attraverso alcune presentazioni, sempre molto “mirate” rispetto al target di riferimento che immaginavo più facilmente raggiungibile.In queste occasioni ho avuto sicuramente i maggiori riscontri di vendita; il contatto con i lettori potenziali è ancora a tutt’oggi a mio parere ineguagliabile, anche se ovviamente molto dispendioso in termini di energie. Ho poi parallelamente partecipato a diversi concorsi letterari per volumi editi, avendo la fortuna di ricevere diversi riconoscimenti, che sono andati naturalmente ad arricchire le pagine del sito web. Più tardi ho anche creato una pagina face book, facente capo al mio profilo personale, con lo scopo di far conoscere a più persone possibile l’esistenza del mio volume.

Qualche (limitata e molto artigianale) campagna di bulk-mailing ha poi completato l’opera. La prima tiratura del libro è andata esaurita dopo circa dieci mesi, e l’editore, dopo avermi versato i relativi diritti d’autore come da contratto (cosa non scontata… parlo per esperienza, avendo già collaborato alcuni anni fa alla pubblicazione di un volume con un editore apparentemente “serio”, che poi non versò nemmeno un euro di diritti all’associazione cui i vari autori che avevano contribuito a quel volume avevano ceduto i proventi derivanti dagli stessi, nonostante le più di duemila copie vendute), ha provveduto a ristampare una seconda, più limitata, tiratura (il libro è comunque un libro “di nicchia”, visto l’argomento).

4) Stai pensando a un futuro in cui la scrittura diventerà sempre più importante per te oppure la scrittura sta solo occupando una parentesi temporanea della tua vita?

Sinceramente non lo so. Certo se fosse soltanto una parentesi temporanea, sarebbe comunque una parentesi importante ed altamente significativa. Ma credo che questo lo chiarirò solamente… vivendo.

5) Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato (e che stai incontrando) nella promozione del tuo libro?

Direi essenzialmente che le difficoltà sono di duplice natura. La prima è sicuramente il fatto che pubblicando con editori “minori”, tutto il lavoro di promozione (se si escludono alcuni comunicati stampa inviati a giornali, ed una ventina di copie inviate a titolo gratuito per possibili recensioni), è praticamente a carico dell’Autore. La seconda, strettamente legata ad essa, è che l’Autore, ed io in particolare, ama “scrivere” di solito, e se deve scegliere come impiegare il poco tempo libero che ha a disposizione nei ritagli di giornate comunque troppo piene di “altro” (alzi la mano chi può dire di riuscire a “mantenersi” con la scrittura! ;-))… al “marketing” preferisce generalmente la scrittura stessa.

Rimane tuttavia la “voglia” di promuovere il libro, sia per dare la più ampia diffusione possibile ad un messaggio che io e le realtà che mi hanno sostenuto in questo cammino riteniamo importante, sia perché, comunque, i proventi derivanti dai diritti d’autore andranno tutti devoluti a tre Associazioni che si occupano di disabilità intellettivo-relazionale. E questo già basterebbe ad impegnarsi un po’ di più di quanto in realtà io stia già facendo.

6) Stai pensando in futuro di autopubblicarti sfruttando le nuove piattaforme per il self-publishing come ad es. Amazon?

In realtà… l’ho già fatto. E’ stato il naturale passaggio, consentitomi tra l’altro come dicevo sopra, da un contratto editoriale che mi lasciava la più completa libertà in questo senso. Essendo perciò lo scopo principale della pubblicazione del mio volume una diffusione la più ampia possibile, non appena esaurita la prima tiratura del volume, ho autoprodotto il volume in formato epub attraverso la piattaforma narcissus, e l’ho messa in commercio su tutte le principali librerie on-line dedicate, compresa naturalmente Amazon per Kindle. Il risultato grafico è ottimo… i riscontri di vendite in questo momento dicono che probabilmente il mercato non è ancora pienamente “maturo”. Tuttavia io credo molto in questo nuovo modo di leggere (ormai personalmente leggo quasi solo esclusivamente e-book; troppi i vantaggi a fronte degli innegabili svantaggi), e continuerò a spingere per valorizzare questa “fetta” di mercato.

7) Quanto è importante secondo te la promozione per il successo di un libro?

La promozione è sicuramente fondamentale per il successo di un libro, ma questa non è certo una novità. Quello di cui questo particolare settore avrebbe bisogno è secondo me la presenza di agenzie capaci di fornire una serie di servizi ai piccoli editori o anche direttamente agli autori che si auto-pubblicano (che spesso non hanno tempo-voglia di “investire” il loro tempo in attività di promozione) su base assolutamente “gratuita”, con dei contratti basati esclusivamente sugli introiti derivati dall’indotto derivante dell’attività di promozione, ovviamente “tracciabili”.

Intervista di Emanuele Properzi - Giugno 2012

 

 

“Come aquiloni …o quasi” di Alessandro Mosconi – a cura di Marzia Carocci

Qui il link originale

Un diario senza retoriche e banalità, pagine ricche ed emozionali, vere come vera è la vita con i propri drammi e gli ostacoli che cercano di piegare, di inginocchiare, di arcuare l’esistenza stessa senza dare a volte il tempo di riflettere o di organizzarsi immediatamente.

Come aquiloni …o quasi è un libro che insegna e che aiuta a riflettere; un libro/verità che schiaffeggia, accarezza, colora e rabbuia, ma il tutto abbracciato da un continuo cantico di speranza e forza che certamente porterà il  lettore a comprendere quanto ci sia oltre la vita “normale”

Alessandro Mosconi, di professione geologo, racconta della propria esperienza di padre con tre figli, due dei quali con diverso tipo di inabilità, attraverso le responsabilità, le paure, i dubbi , le angosce, ma anche forte di  quella ricerca di senso e di essenza nella vita dei propri  figli, conscio che avranno comunque sempre limiti e margini che non  potranno mai superare.

Intense pagine di devozione, dove l’autore spiega i progressi e le fatiche che i suoi ragazzi hanno dovuto fare, ci condurrà nella conca del proprio  sé,  dove confiderà al lettore la rabbia provata, le delusioni sentite, i pentimenti di avere spesso chiesto di più, ma tutto in nome di quell’amore che dalle pagine sprigiona ad ogni sillaba, ad ogni virgola, in ogni espressione; l’amore come unica condizione alle richieste ed all’impegno dei suoi ragazzi.

L’autore spesso rifletterà e s’imporrà quesiti dandosi spesso le risposte trovate forse anche grazie a questa scrittura che ha certamente fatto riaffiorare tutti gli atteggiamenti, le prove, i sorrisi e i pianti di chi, con lui ed attraverso lui, ha dovuto vivere  l’esperienza di una vita certamente non facile e sicuramente sconosciuta ad una società che vive della disabilità un disagio inespresso.

L’uomo, spesso per timore, per inadeguatezza, per superficialità o proprio per difficoltà all’accettazione di quello che si definisce “anormale”, non riesce ad esprimere  e condividere con chi vede “diverso” , restando così impotente al dialogo e alla condivisione di chi  crede, non a ragione, impossibilitato alla comprensione.

Il tragitto che Alessandro Mosconi intraprende con la scrittura, è un mosaico di vita che ci porterà a vedere oltre quel “limite” con il quale siamo abituati a vedere , egli ci  presenterà i suoi  tre figli; Dario, Simone e Marialetizia con l’orgoglio naturale di un padre che ci racconterà della dolcezza, bontà, tenerezza  che questi ragazzi , ognuno a loro modo, sanno elargire senza richiesta alcuna, senza aspettativa, ma solo perché “recipienti” di amore e di dolcezza innata.

Il lettore si commuoverà, sorriderà e tiferà ogni volta che questi ragazzi conquisteranno quel gradino in più che li farà sentire come gli altri, insieme agli altri con un padre tifoso e sempre presente, un padre che sa dire si, ma che è riuscito con l’amore a dire anche quei no , importanti alla crescita psicologica dei figli che proprio grazie anche a quelle negazioni, hanno compreso ed accettato certi limiti, proiettando su altre strade le affermazioni possibili.

Un libro che dovrebbe essere distribuito ad ogni famiglia dove spesso non c’è dialogo con i propri figli, dove non v’è presenza, confidenza, un libro che apre le coscienze , che scuote i luoghi comuni , un libro che ci pone alcune domande:

Cosa è la normalità? Come possono un uomo ed una donna, di punto in bianco reinventarsi una vita, dimenticare le proprie esigenze, bisogni, desideri se non fosse per l’unico collante al mondo che è l’amore?

Un libro che è formato da tante storie di una famiglia speciale e non diversa, una famiglia che nel proprio nucleo ha dato il passo all’essenza del vivere, al valore del sentimento, della felicità che si può costruire con pazienza, determinazione, fatica e tanto, tanto interminabile amore , e che grazie a quell’amore incondizionato ,quegli “aquiloni”, si sentiranno se non liberi di volare come vorrebbero, sicuramente liberi di volteggiare certi, che quel filo , li terrà con  mani solide , permettendo loro comunque uno splendido volo nell’azzurro della vita. 

Written by Marzia Carocci

apollinaire.mc@libero.it

 

 

“Come aquiloni …o quasi” di Alessandro Mosconi – di Lara Colombo

Questo libro è un Tesoro, di quelli autentici, inestimabili e difficilissimi da trovare. Ma tu, lettore, hai la possibilità di averlo facilmente tra le mani. 
Forse non sarà facile racimolare il coraggio e l'energia necessari per tuffarsi in mezzo a onde così alte e travolgenti (e numerosissimi puntini di sospensione!), ma sono certa che ne valga la pena, perchè qui dentro ci sono delle emozioni tali da ribaltarti la vita e renderla molto più limpida e incantata. 
Ci sono sorrisi e gioie da lasciare senza fiato, lacrime così tenere da sentirsi sciogliere fisicamente il cuore, rabbia e dolori tali da regalarti la capacità di spaccare il mondo. 
Hai a portata di mano un Tesoro raro e reale. 
Io ne approfitterei...

Lara Colombo - Libri e Libri Monza

 

 

 

Come aquiloni… o quasi - Intervista di Laura Sandruvi su Superando

Più di mille copie vendute e già numerosi riconoscimenti e premi, sono il lusinghiero bilancio di “Come aquiloni… o quasi”, il libro con cui Alessandro Mosconi, genitore di due figli con disabilità intellettiva, ha cercato di fornire il proprio contributo a cambiare la mentalità corrente. Lo abbiamo incontrato, per parlare di disabilità, sessualità, fede religiosa, scuola, sport e molto altro ancora

Disegno di aquiloniGeologo di professione, Alessandro Mosconi, cinquantaquattrenne monzese, «ha iniziato a scrivere – come si legge nel sito dedicato al suo libro – per raccontarsi e raccontare la sua esperienza di padre di tre figli, di cui due nati con diversi tipi di disabilità intellettiva congenita di origine casuale». Dopo avere pubblicato nel 2006 Come pinguini nel deserto (Del Cerro Editore; riedito nel 2011 da Morellini), insieme ad altri genitori, nel 2010 ha dato alle stampe Come aquiloni… o quasi (Tracce Editore), sorta di grido di speranza e di dolore insieme, che prendendo origine dal racconto per episodi della quotidianità, affronta con serietà e al tempo stesso con ironia il tema della diversità, riflettendo sui sentimenti contrastanti che essa genera in chi la vive di riflesso ogni giorno, o la sfiora casualmente anche solo per un attimo.
Strutturato in modo molto particolare, con un’ampia parte dedicata al cosiddettoAbbeceDario
 (s)ragionato sulla Sindrome di Down e la disabilità in genere, il libro ha già venduto più di mille copie – risultato non certo trascurabile – ottenendo anche numerosi riconoscimenti, ultimo dei quali il Premio Speciale Romanzo Testimonianza alla seconda edizione del Concorso Città di Pontremoli (premiazione in programma il 7 aprile nella città toscana).

Quando e come è nata l’idea di scrivere questo libro, unico per le sue caratteristiche strutturali, grazie ad esempio all’AbbeceDario e al Pensatoio? E come è nata questa passione per la scrittura?
«Il progetto di
 Come aquiloni… o quasi ha preso corpo “a posteriori”, quando mi sono accorto che in più di sei anni di scrittura su diversi forum in internet che si occupano di disabilità (specialmente nel sito dell’Associazione Pianeta Down), avevo accumulato una quantità tale di racconti, esperienze e riflessioni sulla disabilità vissuta “dalla parte del genitore” che, oltre a coprire una buona parte dello spettro di domande e dubbi che una persona si pone, incontrando la disabilità nella sua vita, forse meritava di essere condivisa anche in una forma diversa dallo scritto estemporaneo, per essere accessibile a tutte quelle persone che non hanno particolare confidenza con l’utilizzo dei moderni strumenti informatici o voglia di mettersi in gioco in prima persona in un forum di discussione. Proprio per queste ultime ho pensato in particolare che il mio sforzo potesse essere utile, mettendo a disposizione l’essenza del mio vissuto genitoriale, affinché chi vive esperienze simili alla mia o per qualsiasi ragione desideri confrontarsi con il tema della disabilità intellettiva-relazionale e fisica, possa trovare conforto nel riconoscere di non essere solo a provare determinati sentimenti (non sempre positivi!) e possa sperare in un futuro concreto di difficile immaginazione – realizzatosi in vite “reali” – oltre a trovare spunti di riflessione per interrogarsi sui propri atteggiamenti nei confronti della disabilità.
Per trasformare il tutto in un libro, non ho dovuto fare altro che “organizzare”, con un minimo di logica e sequenzialità, i miei scritti, dopo una necessaria e dolorosa selezione (anche se alla fine di tale operazione il risultato è stato ancora un “mattone” di circa 500 pagine!). Per fare questo, ho utilizzato uno dei miei “post” più ironici e che nonostante ciò ritengo più profondi, vale a dire l’
AbbeceDario, sorta di dizionario (s)ragionato sulla sindrome di Down e la disabilità in genere, il cui titolo mette insieme scherzosamente il significato originale del termine con il nome del mio primogenito Dario, la persona che per prima mi ha “costretto” a confrontarmi con questa realtà. Ogni capitolo del libro inizia infatti con un breve paragrafo che descrive tutti gli “attributi” (veri o presunti tali) di un disabile che iniziano con quella lettera dell’alfabeto, a cui seguono tre racconti di vita (uno per ogni figlio, perché i miei figli sono tre, i primi due con diverse disabilità intellettive-relazionali casuali di differente gravità, e l’ultima… diversamente “normale”) e un paragrafo dedicato più alla condivisione di riflessioni intime… intitolato Il Pensatoio.
Per quanto riguarda la mia passione per la scrittura, devo dire che pur avendo amato scrivere fin da giovane, l’“urgenza” di trasformare i miei pensieri in parole scritte è esplosa prepotentemente insieme all’intima necessità di mettere in ordine
 sentimenti, vissuti e piccoli episodi quotidiani e significativi che hanno caratterizzato la mia esperienza di padre. Perché un libro, specie se di questo genere, si scrive prima di tutto per sé… e solo poi anche per gli altri. Per raccontar loro che oltre al dolore, alla fatica, alle difficoltà che sicuramente accompagnano la vita di un figlio disabile e della sua famiglia, c’è di più… molto di più. C’è innanzitutto la coscienza che vivere da disabile o con un disabile si può… e c’è la consapevolezza di un’umanità preziosa che spesso non viene valorizzata solo per paura, mancata conoscenza, imbarazzo. Raccontandomi come genitore, ho cercato di gettare un piccolo ponte tra due mondi che spesso comunicano troppo poco e male…affinché la conoscenza reciproca li potesse avvicinare un po’ di più. Con crudele onestà, ma anche con serenità e un po’ di sana e doverosa autoironia, indispensabile e abituale compagnia di tante famiglie che si trovano a vivere in questo mondo un po’ particolare».

Ha venduto oltre mille copie, ha ottenuto tanti riconoscimenti e premi. Quante emozioni ha provato?
«L’emozione più grande, unica, quella che “non ha prezzo” – per fare il verso a una nota pubblicità -, è quella di rendersi conto, attraverso il feedback dei lettori, che con i tuoi scritti sei riuscito a
 trasmettere emozioni, a stabilire un rapporto empatico con tante persone. E l’hai fatto raccontando storie di vita vissuta, reali, non “costruite” a tavolino per generare risposte emotive, ma instaurando una sorta di dialogo, solo apparentemente “a senso unico” con chi si confronta con la tua esperienza e il tuo vissuto. Perché un libro non è fatto solo da chi lo scrive, ma anche da chi lo legge… mai uguale a se stesso.
I premi hanno un’importanza relativa, in quanto a parte l’indubbia soddisfazione personale – sarebbe sciocco negarlo – valgono essenzialmente per la visibilità aggiuntiva che danno al libro, permettendo di riflesso una sua diffusione più ampia e capillare. Per raggiungere più persone possibili, con il suo messaggio comunque positivo e contribuire a creare un mondo
più a misura di disabile. In questo senso il numero di copie vendute ha anche una seconda valenza: tutto il ricavato derivante dai diritti d’autore, infatti, è destinato a tre associazioni che si occupano a vario titolo di disabilità intellettiva-relazionale.
Per favorire la massima diffusione possibile, inoltre, il libro è disponibile
 anche in versione digitale su tutti i maggiori negozi online, in formato adatto ai principali reader presenti sul mercato (ePUB, MOBI)».

È stato difficile affrontare temi tanto delicati, come la sessualità e la fede?
«Solo parzialmente. Perché quando un argomento specifico ha un ruolo importante in un tema generale, deve comunque essere discusso. E i due argomenti in questione, indubbiamente, sono in diverso modo entrambi
 fondamentali nell’approccio che una persona ha nei confronti della disabilità, quella vera, non edulcorata, con la quale bisogna “fare i conti”. E così i tabù (sbagliati), le inibizioni e anche la naturale e giusta riservatezza passano in secondo piano.
In fondo, entrambi gli argomenti hanno a che fare col piano della
 “relazione”. Verso i propri simili, e verso Dio. E l’uomo è un’animale relazionale. Non si può prescindere quindi dal parlare di questi temi, in un modo o nell’altro, anche parlando di disabilità. E bisogna farlo con onestà e naturalezza, guardando ad esempio alle loro esigenze sessuali, siano esse istintive e/o affettive, come al naturale desiderio di pienezza di umanità che c’è in ognuno di noi, e che in ognuno di noi trova forme e modi differenti per esprimersi. Fino a poco tempo fa, ad esempio, si pensava che le persone Down non fossero capaci di sentimenti… niente di più falso. E la dimensione affettiva della sessualità è una realtà oggi sempre più presente e riconosciuta nella loro realtà, ma va accompagnata a maggiore attenzione, professionalità e delicatezza, senza atteggiamenti “rivendicatori” che affermando un’uguaglianza che di fatto non esiste… diano per scontato il diritto ad una sessualità “normale”‘. Questo vale sia per ciò che riguarda la sessualità che si esprime attraverso la corporeità, che quella “progettuale” (il desiderio di sposarsi, formare una famiglia, fare figli).
Ovviamente tutto questo, nel caso della disabilità intellettivo-relazionale, deve necessariamente confrontarsi con il concetto di responsabilità, di coscienza dei propri pregi e limiti, della capacità o meno di “prendersi cura di” e così via. Ma è un cammino
 possibile e doveroso, in cui ogni persona, con l’aiuto della famiglia, di una società priva di pregiudizi e di persone professionalmente capaci e preparate ad accompagnarli in questo cammino delicato ma bellissimo, può trovare un suo personale equilibrio e un proprio modo di realizzare la propria sessualità possibile. Senza preclusioni e pregiudizi, ma anche senza forzature.

Particolare di copertina di "Come aquiloni... o quasi"

Valentina Minutoli, “Idillio”, 2010, particolare dell’opera utilizzata nella copertina di “Come aquiloni… o quasi”

Per quanto poi riguarda la Fede, che potrebbe anche essere considerata un aspetto privato e intimo della persona, io credo che comunque abbia anche una dimensione “pubblica” importante, quella che costringe a porsi interrogativi importanti, sia alla persona con disabilità che ai suoi genitori; domande che hanno a che fare con il “perché”, il “perché a me”, gli inevitabili e imperscrutabili sensi di colpa, e di come tutto ciò si riassuma nel senso che si dà alla propria e altrui esistenza, e al significato concreto delle parole “destino”, “caso”, “disegno”. Nessuno può sottrarsi a queste domande, figuriamoci se può farlo un genitore di due figli disabili!».

Grazie alle analisi prenatali, molte donne che scoprono di aspettare un figlio con sindrome di Down decidono di abortire. Manca il coraggio di affrontare una vita da genitori disabili? La scelta deriva da aspetti culturali e sociali? Nel libro scrive di quando Dario parlava davanti ad un pubblico, dando indicazioni precise a chi stava aspettando un figlio Down. E troviamo uno spunto di riflessione anche nell’Abbecedario alla lettera N “Nati”. Quali sono le principali difficoltà per un genitore che si trova davanti a una scelta così pesante?
«È un dato di fatto e la riprova è che se una volta i figli Down nascevano da coppie anziane – visto l’aumento del rischio di concepimento di bambini con questa anomalia cromosomica proporzionale all’età della madre – al giorno d’oggi nascono quasi esclusivamente da
 coppie giovani, tanto giovani da non rientrare nemmeno nel protocollo di “diagnostica preventiva” previsto per le madri oltre l’età considerata statisticamente a rischio. Questo vuol dire che in caso di diagnosi “positiva” (che paradosso il termine, eh?!) alla sindrome di Down, più del90% delle coppie decide di abortire. Le persone Down che nascono sono quindi quasi sempre “sorprese” riservate a coppie giovani e inconsapevoli (queste cose capitano sempre “agli altri”!), oppure a coppie che decidono di non correre il rischio di quell’1% di mortalità del feto conseguente ad amniocentesi o a prelievo dei villi coriali e di non sottoporsi allo screening diagnostico.
Se un giorno avessimo la disponibilità di strumenti diagnostici più affidabili e non invasivi, da applicare a tappeto a tutte le gravidanze, senza rischi per il nascituro, la tendenza potrebbe quindi essere quella… all’”estinzione” delle persone con Sindrome di Down, “traguardo di civiltà” sbandierato già da alcuni Paesi del Nord Europa, come raggiungibile in breve tempo, con definizioni crudelmente asettiche come
 Down-free Country e similari.
Ma sicuramente in moltissimi casi la scelta di non mettere al mondo un figlio con la sindrome di Down (o anche con molte altre malformazioni, la natura è molto fantasiosa in questo!) è spesso dettata dalla
 paura, associata alla non conoscenza e al profondo senso di solitudine in cui due genitori vedono trasformarsi in un attimo i loro sogni e progetti futuri, l’“immagine” ideale e perciò non vera che si erano costruiti del proprio figlio. Una maggiore e più corretta informazione al momento della comunicazione della diagnosi prenatale, insieme a una rete di supporto che senza troppi discorsi mostri ai futuri potenziali genitori la realtà concreta di famiglie che vivono una vita “possibile” e “tentativamente” serena, come fanno tutti, sicuramente porterebbe a risultati diversi, e se non altro a scelte più consapevoli.
Ecco, il problema è proprio che le persone sono costrette a scegliere, spesso senza alcuna consapevolezza, da sole, e in pochissimo tempo. E questo mediamente (perché le eccezioni ci sono!) non può che portare a una decisione sola.
Della
 “terza via”, poi, nessuno parla mai, ma anche questa è una scelta possibile: il non riconoscimento del proprio figlio, che quindi viene dato in adozione. Ci sono veramente tante famiglie disponibili ad accogliere bambini con la sindrome di Down, a riprova che una scelta consapevole può comunque portare a soluzioni “diverse”.
Certo, le difficoltà sempre più emergenti nel settore del welfare attuale, specie nel nostro Paese (pure all’avanguardia per quanto riguarda il piano legislativo nel campo specifico della disabilità!), non aiutano a scegliere di… complicarsi la vita (perché questo sicuramente comporta, inutile negarlo, la presenza di una persona con disabilità all’interno del nucleo familiare). Ma per richiamare quanto è scritto nella sua domanda, riguardo all’
AbbeceDarioalla lettera N “Nati” e al parere di Dario sulla propria vita, provate a chiedere a una persona Down se è felice di esistere. Che risposta vi immaginate di poter ricevere?!».

Quanto incide il fatto che manchi un sufficiente supporto sociale ai genitori che percepiscono la nascita di un figlio disabile come una tragedia? Per esempio, come valuta l’integrazione, soprattutto nelle scuole?
«È il problema principale, come scrivevo poco sopra. Lo è già ancor prima della nascita. “Metterò al mondo un infelice?”, si domanda il genitore…, “sarà deriso ed emarginato da tutti?”…, “non potrà condurre una vita autonoma e sociale?”. Tutte domande lecite e che si radicano profondamente in una realtà certo non semplice, ma che verrebbero moltissimo ridimensionate, a fronte di una conoscenza più approfondita del mondo della disabilità.
Ricordiamoci sempre – non mi stancherò mai di dirlo! – che in Italia abbiamo la
 legislazione più avanzata d’Europa e del mondo in termini di integrazione, a partire dall’integrazione scolastica, per arrivare a quella lavorativa. È nelle cosiddette “buone prassi” che poi “cadiamo” miseramente, e quindi è in questa direzione che devono essere fatti i maggiori sforzi. Dalla carta… ai fatti. E tuttavia, ciò non toglie che culturalmente, in teoria, siamo molto evoluti come spinta ideale (cos’è una Legge se non questo?). Dobbiamo solo fare in modo che questa spinta ideale si trasformi in scelte concrete, in mentalità comune, in buone abitudini.
Se l’integrazione nella scuola non “gira”, è solo per colpa della scarsità e dell’inadeguatezza delle risorse, economiche e umane. Certo, siamo in periodo di crisi, e tutti devono “subire”, figuriamoci chi “costa” tanto… come un disabile (lo diceva anche un piccoletto in uniforme con degli strani baffetti e una croce uncinata sul braccio non molti anni fa!), ma ricordiamoci sempre che il grado di civiltà di una Società si misura proprio sulla sua capacità di
 tutelare e proteggere i suoi membri più deboli.
Far circolare queste idee per cercare di cambiare la mentalità corrente è una responsabilità cui noi genitori disabili non possiamo sottrarci. Anche per questo
 Come aquiloni… o quasiesiste».

Ci sono ormai tantissime associazioni per famiglie con figli disabili e su internet troviamo anche dei forum di discussione, di incontro e di condivisione delle proprie esperienze. Anche lei ha pubblicato dei contenuti in questi siti, uno fra tutti il già citato Pianeta Down di cui fa parte. Cosa ne pensa di questa rete virtuale di confronto?
«Le associazioni hanno avuto negli anni passati – e hanno tuttora – un’importanza
 fondamentale nel fornire supporto sul territorio, nell’indicare possibilità di assistenza, nell’unire i genitori, dando loro quella “massa critica” spesso necessaria ad ottenere quanto meno di “farsi ascoltare”, di far emergere bisogni e di far sorgere iniziative e soluzioni per venire incontro ad essi. E questa è ormai una prassi consolidata anche se non si può mai considerarla come “scontata”.
Particolare della copertina del libro "Come pinguini nel deserto"Ma internet e i forum di discussione hanno avuto il potere dirompente di permettere la diffusione e la condivisione delle emozioni, cosa resa molto più facile dal dialogo con persone “reali” sì, ma protette in un certo senso dallo schermo di un personal computer, senza quell’imbarazzo… quel naturale pudore che deriva dal contatto personale, visivo, fisico. La dimensione emotiva è così stata
 più libera di esprimersi, senza maschere, senza finzioni di convenienza sociale, senza “buonismi”, e in tanti si sono accorti di non essere soli, si sono riconciliati con i sentimenti non proprio “positivi” e idilliaci che provavano nei confronti dei loro figli, riuscendo così ad aumentare la propria scarsa autostima e a trasformare anche queste negatività in risorsa, a servizio della crescita dei figli. E questo a prescindere dalla territorialità, unendo persone diverse per ceto, provenienza geografica e sociale, cultura, nazionalità ecc. Perché in questo la Rete ha lo stesso approccio alla realtà che ha la disabilità: sono entrambe ineluttabilmente… “democratiche”. Un effetto, quindi, positivamente devastante.
Inviterei, in questo senso, a leggere (oltre naturalmente al mio!…) anche il libro di Autori Vari
Come pinguini nel deserto, che è proprio la trasposizione senza modifiche dei thread [fili di discussione, N.d.R.] più significativi presenti nel già citato forum di discussionewww.pianetadown.org e scritti tra il 2004 e il 2006. Può certamente servire ad apprezzare quanto aiuto derivi dalla condivisione di sentimenti, esperienze, realtà e vissuti».

Per la prima volta, nella storia di Special Olympics, il noto movimento internazionale sportivo di persone con disabilità intellettiva e relazionale, un giocatore italiano[Massimiliano Priolo, N.d.R.] ha partecipato dal 15 al 17 febbraio all’ All Star Game NBA, la lega professionistica statunitense del basket, a Houston, nel Texas. Di fronte a questo evento – che ci sentiamo di definire come un vero passo avanti per l’integrazione – può esprimere un suo parere, come padre di Dario, campione paralimpico di nuoto, impegnato anch’egli nelle gare Special Olympics?
«Lo spirito di Special Olympics, movimento nato negli Stati Uniti negli Anni Sessanta, per favorire l’attività sportiva, e con essa la crescita personale, l’autonomia e la piena integrazione delle persone con disabilità intellettiva, è veramente straordinario. Permette agli atleti di gareggiare innanzitutto “tra pari”, quindi per una volta di confrontarsi in una competizione (sportiva, ovvero metafora di tutte le competizioni cui ognuno di noi è chiamato nella vita quotidianamente) in cui
 non sono perdenti in partenza. Infatti, ogni batteria (in sport non di squadra, tipo nuoto, sci ecc.) è composta da persone di simile abilità, a prescindere dal tipo di disabilità, in modo che a fare la differenza siano “veramente” l’impegno, l’allenamento e lo sforzo profuso durante la gara. Questo insegna ai ragazzi che si può vincere, si può perdere… ma che in fondo la vera differenza la fa il “dare tutto”. Non a caso, il giuramento che gli atleti Special Olympics pronunciano all’inizio di ogni manifestazione è “Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze”!
Il ritorno di autostima che deriva da questo “sano” agonismo – che ha poco o nulla a che fare con il record, con la performance estrema, ma che valorizza lo sport principalmente come strumento di confronto con il “proprio” limite – è straordinario, e si estende a tutti i campi della vita relazionale e sociale della persona che ne beneficia.
A questo primo piano, se ne aggiunge poi un altro, altrettanto importante, quello dello
 “sport integrato”, dove atleti disabili e atleti normodotati gareggiano fianco a fianco in discipline generalmente di squadra, con regolamentazioni precise che non lasciano nulla al caso. Inutile sottolineare quale immenso valore possa avere una pratica sportiva come questa, al fine di promuovere l’integrazione sociale!
Dario ha svolto attività sportiva in diverse discipline, nuoto, sci, bocce, giungendo anche a partecipare ad alcune gare internazionali (bellissima l’esperienza di incontro tra ragazzi provenienti da tutto il mondo o da tutta Europa!), e ha avuto anche l’onore di pronunciare il giuramento dell’atleta di fronte a migliaia di persone, durante la Cerimonia di apertura dei Giochi Nazionali, a Roma nel 2005. Ora non fa più attività sportiva a livello agonistico, ma questa esperienza lo ha formato nel fisico e nello spirito e sicuramente gli ha permesso di crescere con più consapevolezza dei propri limiti e delle proprie possibilità, credendo in esse».

Grazie al lavoro di tante associazioni e volontari, grazie alle tante famiglie di genitori “speciali”, grazie a coloro che come lei offrono un forte aiuto, si può realmente diffondere una cultura diversa nei confronti della disabilità?
«Se non credessi profondamente in questo, vana sarebbe ogni parola, superflua ogni azione, così come inutile il mio libro e ogni momento “speso” in varie associazioni, con diversi ruoli a servizio di un cambiamento culturale che è l’unico vero obiettivo di questo agire a volte apparentemente caotico, ma sempre orientato a dare ai nostri figli – o a chi verrà dopo di loro – le stesse possibilità di
 giocarsi la propria umanità nel mondo che ha chiunque altro. Ricordando quanta strada è stata fatta da chi ci ha preceduto. Perché ognuno di noi fa parte di un cammino, e questa coscienza aumenta la dignità di ogni singolo gesto, teso a cambiare in meglio la cultura della disabilità».

Quali sono le sue speranze, i suoi sogni per il futuro, per i suoi figli?
«Dopo tante parole, questa è una domanda che trova nell’incredibile semplicità e brevità della sua risposta la dimostrazione dell’universalità dell’esperienza genitoriale. Cosa spero e sogno per i miei figli?
 Una vita serena, possibilmente “piena” di affetti, “tentativamente” felice. Il resto… è solo corollario».

Sta lavorando a un nuovo libro?
«In realtà non ancora, ma certo mi piacerebbe farlo, magari stavolta più da “scrittore”, cioè inventando storie capaci di trasmettere emozioni e idee, e aprire le menti. Mi piacerebbe tanto provare a scrivere un romanzo breve, che avesse per protagonista una persona con disabilità intellettiva-relazionale. Vedremo se ne avrò il tempo e le capacità.
Ho notato con piacere che ultimamente diversi scrittori stanno cominciando a
 confrontarsi con questo tema e la cosa mi rende felice, perché vuol dire che comunque la disabilità “interessa”, coinvolge, non è più relegata a tabù, ma inizia ad essere considerata come unarealtà “normale” della vita, una cosa che può capitare, a tutti. E perciò interessa tutti, non solo chi ne è colpito più o meno direttamente.
Sarei felice di poter continuare a contribuire a questo processo culturale attraverso la scrittura, che è uno strumento potente, e forse il modo più efficace che ho a disposizione nelle mie povere capacità».

Come aquiloni… o quasi si conclude con una splendida poesia di auguri per tutti i nostri “Aquiloni”. Può dedicarci ancora un “pensiero speciale” a conclusione di questa intervista?
«Volentieri. Lo faccio proprio con la stessa poesia che è citata nella domanda, in realtà una canzone, visto che così è stata composta da me per dedicarla a Marco, nato quasi cinque anni fa, figlio secondogenito di un’amica che si è solo “avvicinata” al mondo della disabilità dopo un’ipotesi di diagnosi prenatale rivelatasi poi fortunatamente infondata.
La canzone fa da contrappunto finale alle parole con cui il libro inizia, che riporto qui di seguito: “‘I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra’ (E.Bombeck)
. Ma non tutti i figli voleranno via… liberi e soli come è giusto che sia. Alcuni si impiglieranno nei rami di un albero, altri, troppo goffi e pesanti, o forse malcostruiti, a fatica si alzeranno da terra per ricadere subito dopo voli brevi e certamente non arditi, altri ancora magari riusciranno a volare… ma non potranno mai ‘spezzare il filo’. La forza del genitore sarà anche in quel caso quella di correre insieme a loro… magari più piano, meno spesso, e alla fine, quando correre non avrà più senso né scopo, sedersi ed abbracciarli, con la tenerezza di chi sa di aver fatto solo ciò che un genitore ‘deve’ fare: amare il proprio aquilone. (Alessandro Mosconi)”.
Ecco dunque la canzone, che è il mio augurio a tutti i genitori, a tutti i bambini, a tutte le persone che hanno il coraggio e l’allegra spudoratezza di amare la vita:
L’aquilone – Bambino mio ti voglio raccontare / di una storia che non hai sentito ancora / Perciò apri orecchie e cuore questa sera, / a questo mio canto che sembra una preghiera: / Ti ho donato la vita, ma a che serve / se le mancherà la voglia di stupirsi… / No, non dico oggi che per te ogni cosa è novità / ma se l’abitudine ti invecchierà. / Ti ho donato poi un corpo ma che importa / se userai della sua forza solamente / per restare il primo, il più bello, e non per servire chi / ultimo, di forte e bello non ha niente? / Ti ho donato anche un cuore ma perché / se non danzerai al ritmo del suo battito… / No, non quello che fa sì che il sangue scorra nelle vene, / Intendo il ritmo quotidiano del coraggio. / Ti ho donato anche due braccia e poi due gambe / per sbrigarti ad afferrare ciò che vuoi / ma non la saggezza di guardarti dentro per scoprire / che con esse puoi ‘andare incontro’ e ‘dare’. / Bambino mio ti voglio raccontare / di una storia che non hai vissuto ancora / Perciò apri orecchie e cuore questa sera / a questo mio canto che si fa preghiera: / Ti ho donato occhi, orecchie, naso e bocca / per godere di tutto ciò che è bello / per sorridere e per piangere, ma spero anche perché / siano sempre ‘porte’ aperte a tuo fratello. / Ti ho donato poi un cervello ed una pancia / ma non l’armonia che può legarle insieme. / Sì: ragione, istinto e calcolo, paura e sentimento, / in un miracolo d’amore e libertà / Ti ho donato un sesso, solamente uno / anche se lo scoprirai che sono due, / perché (non adesso) possa un giorno innamorarti di… / di qualcuno che non sia tu stesso… ma di più. / Poi da ultimo ti ho dato anche una lingua; / Sì lo so che è ancora presto per parlare… ma spero che tu impari a usare alcune semplici parole: / Grazie, scusa, ti perdono, aiuto, Amore / Dio buono so… per te non è cosa nuova, / ma se esisti e come dicono tu sei, / prendi in braccio il mio bambino e poi stasera / ascolta il canto di questa mia preghiera… / E se vorrai, dagli ali per volare, / come un aquilone libero nel vento / senza fili che lo tengano legato… / a me… che soffrirò, felice del suo volo. / Bambino mio…”.

Mi rendo conto, rileggendo le mie risposte, di essere stato forse un po’ “serioso-palloso” ;-), ma che dire? Le domande erano troppo “importanti” per lasciarsi andare troppo all’ironia. Ma non temete… il libro invece di ironia ne è pieno, perché essa è uno degli strumenti più efficaci che abbiamo per guardare a situazioni apparentemente tragiche con sereno disincanto, e sorridere alla vita!
Se non ci credete… andate a leggervi l’ormai “famoso”
 AbbeceDario, nel sitowww.comeaquiloni.com dedicato al libro, dove si troverà anche l’introduzione ad esso, il trailer e alcuni tra i tanti giudizi dei Lettori che si sono cimentati con il mio… “mattone”!
Grazie a Superando e in particolare a Laura Sandruvi, che mi hanno offerto con professionalità e simpatia l’opportunità e lo spazio per parlare un po’ del mio libro e di ciò che sta dietro e dentro ad esso».

Tratto da www.superando.it/2013/03/12/come-aquiloni-o-quasi/

 

 

“Come aquiloni …o quasi” di Alessandro Mosconi – una recensione di Sara Rattaro, scrittrice

"Ci sono mille motivi per leggere un libro e sono tutti ottimi. A volte te li consigliano, altre li scegli. Poi ne trovi uno e ti chiedi perchè proprio lui che non lascia traccia precisa di come sia giunto a te. Lo inizi dopo poco, nonostante non sia breve, lo termini. Poi ti accorgi di aver appena letto una storia vera e questo ti fa bene e male nello stesso tempo come sanno fare solo le bellissime storie difficili, dove nulla è lasciato al caso, dove tutto ha senso.
"Come aquiloni....o quasi" è un bellissimo libro scritto da Alessandro Mosconi. È la sua vita. È la sua straordinaria famiglia. È lui. 
Una storia da cui non sono riuscita ad allontanarmi perchè la mia sensibilità a certi argomenti me l'ha impedito, costringendomi a riflettere su quel "...o quasi" di cui io stessa ho scritto molto, su cui mi faccio continue domande. Ma Alessandro è stato più bravo di me a trovargli una definizione, a dargli un valore perchè ha parlato di sè stesso per raccontarci i suoi figli, straordinari e imperfetti come tutti i figli, come tutti noi. 
Quante volte abbiamo creduto di non essere all'altezza e poi ci siamo riusciti?
Ecco questo è un romanzo sul Riuscire a vivere una vita piena, a trasformarla nella vita perfetta che avremmo sempre desiderato.
Questa è una storia che avrei voluto scrivere io

Sara Rattaro."

 

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